Il cibo vola alto Il fine dining tra le nuvole

Aumenta il traffico di voli privati, e con essi la richiesta di una ristorazione di lusso capace di attraversare i cieli insieme ai suoi ricchi degustatori. Accontentarli è una sfida (non solo logistica ma soprattutto fisica) accolta anche dalle compagnie commerciali

Tra i molti effetti del Covid c’è stato quello di incoraggiare (in chi può permetterselo) il ricorso al trasporto privato, anche quando si tratta di velivoli! Secondo i vettori di noleggio di aerei privati, dallo scoppio della pandemia la domanda globale di jet privati di lusso ha subito una forte espansione (con 4,2 milioni di voli e un aumento del quaranta per cento di decolli e atterraggi di business jet solo negli Stati Uniti nel 2020), raggiungendo il punto più alto da prima della crisi finanziaria del 2008.

Secondo il Financial Times, la domanda è stata così alta che nel 2021 fornitori come NetJets (che ha riportato il record di richieste di volo dei suoi quasi sessant’anni di attività) ha investito miliardi di dollari in nuovi aerei, ma anche nell’offerta di servizi aggiuntivi a bordo. E tra questi non poteva mancare la proposta di una ristorazione di lusso, adatta all’esclusività della clientela e del contesto.

Il meglio del food mette le ali!
La prima azienda a specializzarsi in ristorazione di lusso per jet privati è stata Hi Fly Catering, nata nel 1999 dall’intuizione del Ceo Mauro Benincasa di dover fornire alla clientela d’élite (più di ventimila viaggiatori per oltre quattromila voli all’anno) un servizio di catering e concierge totalmente personalizzato (sartoriale, flessibile e creativo), capace di soddisfare ogni esigenza e coniugare il comfort di un viaggio di lusso con la possibilità di gustare prelibatezze culinarie che hanno la qualità di un ristorante di alta classe.

L’obiettivo di rendere ogni volo un’esperienza unica ha portato a coinvolgere importanti chef (come Ernst Knam e Claudio Sadler) e partner privilegiati (come Nobu, Seta Mandarin Hotel, Peck, Calvisius, Eataly, Giardino di Giada, Pastificio Felicetti, Alce Nero, L’Agricologica) nella definizione di menu esclusivi per ogni volo (o addirittura per ciascun passeggero). Ma non solo, si sta investendo anche in innovazione e ricerca per rendere l’offerta sempre più efficiente e sostenibile: dall’utilizzo di prodotti bio alla selezione di packaging impilabili ed ecologici, fino alla formazione di hostess e steward perché sappiano come ravvivare al meglio i piatti in base alle diverse condizioni in cui si trova il volo nel momento in cui viene servito il pasto.

Tutto questo ha portato Hi Fly Catering a diventare un gruppo leader internazionale nella ristorazione per jet privati, che riunisce diversi brand (tra cui Dream-Eat e BioQitchen specializzato in preparazioni biologiche) e, dal 2005, dispone di un proprio laboratorio di produzione, in grado di preparare in poche ore piatti degni di un ristorante stellato, attraverso una ricerca maniacale su tecniche e ingredienti.

Buon cibo in aereo: una sfida (possibile?) alla fisica
Parlare di cibo gourmet in aereo (dove notoriamente i pasti serviti non sono un granché) sembra un ossimoro e un controsenso. Eppure è possibile, a patto di aggirare alcuni ostacoli di carattere logistico, organizzativo, ma soprattutto fisico, che compromettono il gusto del cibo ad alta quota.

Esistono infatti alcune ragioni oggettive (scientificamente dimostrate) per le quali i pasti in aereo risultano deludenti: prima fra tutte il fatto che l’altitudine (con il cambio di pressione atmosferica e i ridotti livelli di ossigeno) alterano la sensibilità delle papille gustative (riducendo fino al trenta per cento la percezione del dolce e del salato, mentre l’amaro e l’acido restano inalterati e l’effetto astringente dei tannini diventa più persistente) e l’aria secca della cabina riduce la salivazione e anestetizza l’olfatto (responsabile dell’ottanta per cento del gusto).

Inoltre lo scompenso nel ritmo sonno-veglia legato al fuso e alle condizioni innaturali di luce a cui si è esposti durante i viaggi prolungati, i rumori bianchi e le vibrazioni, sono tutti fattori di stress ambientale che riducono la fisiologica capacità di gustare e anche la percezione delle consistenze del cibo (per esempio il sottofondo della turbina dell’aereo fa stranamente sentire tutto più croccante!).

Menu stellati… tra le nuvole!
Per questo le compagnie che si occupano di catering sugli aerei (privati ma di recente anche commerciali) si avvalgono della consulenza di chef affermati (e amanti delle sfide) per elaborare menu capaci di rendere il più piacevole possibile l’esperienza del pasto in aereo.

Tra queste ci sono Singapore Airlines, nominata “Miglior Compagnia Aerea del Mondo” da Skytrax (gli Oscar dell’aviazione civile), che dal 1998 è impegnata nella ricerca culinaria e si avvale della consulenza di chef del calibro di Carlo Cracco; Swiss, che con il programma “Taste of Switzerland” dal 2002 offre in business e first class menu di cuochi svizzeri premiati Michelin e/o Gault Millau; Air France, che da alcuni anni coinvolge chef stellati per l’elaborazione dell’offerta gastronomica a bordo dei suoi voli (in particolare per i menu serviti nelle cabine La Premièree business) e nelle lounge degli aeroporti parigini.

Dal 1° febbraio 2024, la compagnia francese offre ai business customers che viaggiano sulla sua rete a corto raggio un’elegante meal box contenente menu sviluppati in collaborazione con il Servair corporate chef François Adamski, Bocuse d’Or e Meilleur Ouvrier de France. La proposta gastronomica varia ogni mese, ma anche nel corso della giornata: prima delle dieci viene servita la colazione, con panini ripieni di salmone affumicato, crema di formaggio e aneto più un dolce, mentre nel resto della giornata vengono serviti nuovi esclusivi gourmet signature sandwiches (con prodotti locali, stagionali e Dop) e dessert francesi accompagnati da una carta di vini e champagne selezionati, serviti in bicchiere.

Proprio sul pairing professionale da abbinare ai piatti gourmet puntano compagnie come la greca Aegean, che ha scelto come consulente Konstantinos Lazarakis, primo Master of Wine greco della storia, e Delta Air Lines, che consuma 2,5 milioni di bottiglie all’anno e collabora con la Master Sommelier Andrea Robinson, per includere nella sua carta anche vini pregiati e di nicchia.

Testimonianze dirette
Tra gli interpreti italiani dei progetti di ristorazione gourmet ad alta quota ci sono Felice Lo Basso, chef patron di Felix Lo Basso home & restaurant a Milano (una stella Michelin), e Daniel Canzian, allievo di Gualtiero Marchesi e del Maestro Michel Troisgros, dal 2013 titolare del ristorante a Milano che porta il suo nome e in cui serve cucina italiana contemporanea.

Da dicembre 2023 a gennaio 2024 chef Lo Basso ha portato le sue creazioni (un antipasto freddo di cous cous con gamberi e polvere di crostacei, una parmigiana di melanzane e un branzino con verdure e salsa allo zafferano) sui voli della tratta non stop Milano-New York della francese La Compagnie, che dallo scorso anno serve ai passeggeri (esclusivamente business) dei suoi voli a lunga percorrenza la cucina di alcuni dei più importanti chef italiani, con un’offerta che varia ogni due mesi.

Chef Canzian invece è consulente dell’italiana Air Dolomiti, nei cui menu porta un tocco di estro “giocoso” suggerendo abbinamenti di ingredienti che tengano conto del profilo nutrizionale e della resa complessiva in termini di conservabilità, gusto e piacevolezza al palato dei piatti (come il carciofo alla romana con pecorino e mentuccia) o dei sandwich (come quello da lui ideato appositamente, a base di pane integrale di segale, salsa alla senape, una proteina come prosciutto o carpaccio e un immancabile elemento vegetale).

Entrambi affermano che si può fare grande ristorazione anche ad alta quota, purché si riescano a ideare menu che tengano conto delle particolari condizioni in cui ogni piatto verrà servito. «Indipendentemente dagli ingredienti utilizzati, bisogna considerare gli aspetti tecnici e i vincoli sanitari e di sicurezza con cui l’offerta gastronomica in aereo deve confrontarsi», come l’impossibilità di utilizzare cotture espresse e fiamme libere o di rigenerare (se non con mantenitori di temperature) alimenti che necessariamente devono essere confezionati sottovuoto, talvolta uno o due giorni prima dell’imbarco.

«Un altro limite da considerare – sottolineano gli chef – è che per sopperire alla scarsa percezione della sapidità ad alta quota non si può semplicemente aumentare l’apporto di sale nei piatti (che ne causerebbe la disidratazione), ma occorre scegliere cibi stagionali e saporiti in partenza, e poi usare ogni trucco possibile per dar loro ulteriore spinta, come spezie, erbe e condimenti che il cliente può gestire in autonomia attraverso pipette monodose e biberon».

Da dimenticare (o quasi) sono alcuni aspetti dell’estetica contemporanea dei piatti, in particolare il loro sviluppo in altezza: «Le pietanze per la ristorazione aerea devono essere trasportate in contenitori compatti, adatti ai carrelli con cui verranno distribuiti in cabina» precisa Lo Basso.

Anche per questo chef Canzian spiega che «non ha senso ostinarsi a voler replicare per la ristorazione ad alta quota piatti concepiti per essere gustati al ristorante. A mio avviso ogni contesto ha il suo cibo, ed esserne consapevoli consente di creare piatti pensati apposta per rendere il più possibile gestibile e godibile l’esperienza del pasto durante il volo».

Alla luce della loro esperienza, entrambi concludono che non ci sono ricette “impossibili” da servire in aereo, purché il budget della compagnia consenta di procurarsi tutto il necessario per valorizzarle (dagli ingredienti alla strumentazione tecnica adatta a trattarli correttamente) e purché le compagnie di catering (e poi il personale di bordo) siano correttamente formati per far sì che il cibo in questione giunga al cliente nella forma (e nella sostanza) migliore possibile.

Il caso British Airways
La British Airways, che serve circa centomila pasti al giorno, è tra le compagnie più impegnate nella ricerca delle strategie per ovviare alle condizioni di servizio avverse che caratterizzano la ristorazione in volo. Per questo si avvale da anni di un Taste team, una squadra del gusto, fatta di chef ed esperti che compongono i menu per ogni classe, con una particolare predilezione per il gusto umami che ha dimostrato di conferire alle pietanze il massimo della godibilità anche a trentamila piedi di altezza.

Ma non è tutto. Per migliorare l’esperienza gustativa dei propri passeggeri dal 2014 la compagnia inglese ha introdotto la Sonic Seasoning, ovvero un “condimento sonoro”, basato su una playlist speciale intitolata “SoundBite” composta da tredici tracce (dal rock al pop passando per la musica classica) scelte tra quelle che, secondo uno studio dell’Università di Oxford, hanno una sonorità capace di risvegliare le papille gustative a sapori specifici e affinarne la percezione (in particolare aumentando del dieci per cento la sensibilità al dolce e al salato).

Ogni piatto ha così il proprio genere o addirittura la propria canzone specifica: per esempio “Scream (Funk My Life Up)” di Paolo Nutini accompagna l’antipasto di salmone scozzese, Debussy è abbinato all’arrosto, Lily Allen e Coldplay ad altre portate principali, mentre per i dessert c’è il sottofondo di Madonna e James Blunt. Anche le bevande hanno il loro pairing: le note dei Pretenders fanno apparire i vini rossi più “robusti” e “pesanti”, mentre il vino bianco viene servito con la BBC Symphony Orchestra. Si conclude con le basse frequenze di Placido Domingo per sorseggiare il caffè.

Insomma, anche ad alta quota il cibo può davvero trasformarsi in un’esperienza (o meglio in un viaggio) multisensoriale!

 

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